L’Islanda è una terra selvaggia, primordiale, un’isola in capo al mondo lontana ed affascinante, un immenso parco naturalistico dagli spazi infiniti e talvolta non ben delineati, dai panorami impossibili eppur reali nell’atmosfera magica di un paese antico che fa sentire la sua vita e la sua energia con l’enorme profusione di acqua e fuoco che si sprigionano dal suo cuore, creando paesaggi onirici, ancestrali, plasmando la roccia in variegate forme fra cui muoversi e perdersi.
La terra del ghiaccio e del fuoco, questo è il nome con cui è conosciuta l’Islanda: il ghiaccio delle sue immense distese bianche che, con lingue di freddo minerale, si protendono nei terreni desertici dell’entroterra; il fuoco delle tante caldere, dei crateri, delle pozze di fango che ribollono sotto il cielo settentrionale. Ma è anche la terra dell’acqua: un’inesauribile risorsa di acqua cristallina che attraversa i deserti, che si getta dall’alto in cascate impetuose, che riempie crateri spenti e acqua calda di caldere in cui immergersi.
Una terra che si presta alla più ardita avventura. Perché prendere un aereo ed arrivare in 7 ore in Islanda, quando si può partire in fuoristrada ed impiegare alcuni giorni? Il fascino dell’avventura, per un viaggio in Islanda, si deve gustare appieno, consapevoli dei disagi e delle scomodità: stipare l’intero bagaglio del proprio mezzo, attrezzato per un viaggio duro e difficoltoso, dormire in tenda e sacco a pelo, guidare per ore su terreni accidentati e piste sperdute. Ma è un prezzo minimo per le impagabili sensazioni che quella terra lontana ci offre.
Questo paradiso quasi inesplorato è protetto da una fitta coltre di nebbia, che si leva dall’oceano su cui viaggia, per ben due giorni, la nave danese che parte dal porto di Bergen, cittadina della Norvegia. Dopo aver toccato le isole inglesi Shetland ed aver fatto una breve tappa alle Isole Faroer, la nave continua la sua corsa verso l’Islanda, fin quando si immerge in un muro di nebbia che sembra non aver fine. All’improvviso, poi, come una moderna Shangri-là, le coste orientali islandesi appaiono oltre la nebbia, in un cielo azzurro come il mare. Si attende lo sbarco ammirando le colline verdi oltre la costa, i bagliori del sole sull’acqua, il vento freddo sul viso.
Passati i controlli della polizia locale, il fuoristrada può finalmente correre via, lontano dal porto di Seydisfjordur ed addentrarsi nella pista desertica. La prima tappa è il lago Myvatn, il lago dei moscerini, per poi entrare nella zona vulcanica di Krafla: laghi sulfurei, colline dai colori rosati, terreni fumanti, il fuoco d’Islanda non si fa attendere.
Il viaggio prosegue a nord, fino a raggiungere il piccolo centro di Husavik, in cui praticare il whalewatching: 3 ore in mezzo all’oceano ad avvistare le balene. E dalle acque dell’oceano a quelle delle cascate Dettifoss, fra pareti alte e a strapiombo e spiagge di sabbia nera incontaminata.
Dall’acqua al fuoco: in Islanda ci si deve abituare ad un’alternanza di elementi opposti, opposte energie vitali di un’isola che non tradisce aspettative. E’ la grotta vulcanica Grjotagia, allagata, un tempo utilizzata per i bagni, ora proibitivi per le temperature che si aggirano sui 50° C. E poi via, di nuovo in fuoristrada verso le cascate di Dio, Godafoss, imponenti e spettacolari salti di acqua spumeggiante.
Una meritata pausa, dopo chilometri e chilometri percorsi fra la polvere del deserto, ci viene offerta dalla cittadina settentrionale di Akureyri. Ore tranquille da trascorrere per negozi e la sera in pub stile irlandese, quasi un ritorno alla civiltà, seppur temporaneo.
Hveravellir e Langjokull, le prossime tappe da affrontare, di nuovo il binomio fuoco e acqua: la prima una caldera allagata in cui bagnarsi, il secondo un ghiacciaio che si staglia sullo sfondo delle piste polverose.
Dall’acqua che cade dall’alto del letto di un fiume a quella che invece dal terreno viene sputata fuori con la violenza dei gas immagazzinati nelle viscere del suolo: i geyser, potenti getti di acqua calda che a intervalli precisi offrono uno spettacolo degno d’esser vissuto. Una sorta di Tre Moschettieri, Litli Geysir, Geysir e Strokkur, il più potente dei tre, con un getto che raggiunge i 20 metri di altezza.
Si continua il viaggio verso sudovest con le cascate di Gulfoss, per poi dirigersi nella splendida zona chiamata Þingvellir, l’unico punto al mondo in cui è possibile osservare la dorsale oceanica emersa, il tratto che unisce la zolla europea a quella americana. Siamo in una delle zone più suggestive dell’isola, che ci offre panorami che sembrano presi lontano nel passato, nelle perdute ere geologiche in cui si è modellato l’aspetto del pianeta. Qui crepacci profondi si alternano a rocce acuminate e a vegetazione spontanea e selvatica, rinfrescate dalla cascata Oxararfoss, formata dal fiume Oxarà, per creare un dipinto indimenticabile, un’immagine scattata milioni di anni prima.
Ma il vero lato selvaggio e primordiale dell’Islanda è senza dubbio la terra del Landmannalaugar, nel sud dell’isola: un paesaggio restato immutato da milioni di anni, una sorta di piccolo mondo perduto racchiuso da valli nascoste, dove colline multicolori che virano da toni rossastri a verdi nascondono piccoli laghi montani, dove creste spinose sembrano proteggere come draghi fiabeschi terreni fumanti e caldi. E dal calore del Landmannalaugar si passa al freddo della grotta nel ghiaccio Ishellir, immensa, una bocca bianca che si apre al turista nella pericolosità delle volte instabili di ghiaccio.
Un’altra tappa di piena tranquillità è la capitale Reykjavik, cittadina semplice, con ben poche risorse, eccetto la cattedrale e la statua del Figlio d’Islanda che si staglia di fronte come una silenziosa sentinella, osservando turisti e viandanti dall’alto del suo piedistallo.
Un’attrattiva particolare è data da una sorta di leggenda urbana, venutasi a creare in seguito alla magia del basalto colonnare presente in Islanda, prismi di roccia nera che spuntano dal suolo in forme perfettamente geometriche. Si tratta della località chiamata Kirkjugólf, ossia pavimento di chiesa. Sul terreno erboso affiorano elementi basaltici così perfetti da far somigliare l’affioramento ad un vecchio pavimento, che ha tratto in inganno la gente del luogo.
E ancora basalto colonnare troviamo nelle splendide cascate di Svartifoss, o le cascate nere. Vicine al ghiacciaio Vatnajokull, si raggiungono da un sentiero immerso nella vegetazione, tuffandosi in un piccolo lago racchiuso da alte pareti.
Il viaggio prosegue sempre sulla costa meridionale, verso est, fino alla baia di Jokulsarlon. Montando su mezzi anfibi, enormi barconi che si muovono su ruote lungo la pista di sabbia fino a immergersi nelle gelide acque della baia, per poi passare le redini del movimento all’elica del motore, si naviga nel silenzio delle acque immote, fino ad essere circondati da enormi iceberg, che muti spuntano dall’acqua galleggiando senza meta.
Si prosegue verso nord-ovest, facendo ritorno al porto di Seydisfjordur, per l’imbarco che vedrà il fuoristrada a riposo nelle viscere della nave per due giorni, fin quando, questa volta, si sbarca ad Hanstholm in Danimarca, lasciandosi alle spalle un’isola quasi deserta che ribolle di vita, come un gigante di roccia viva che sputi la sua rabbia eruttando acqua, gas, fumo e lava in una terra spoglia, ma che offre al viaggiatore un indimenticabile ricordo di avventura vera, fra piste desertiche e guadi, nella polvere e nel freddo, fra impossibili meraviglie della natura che lasciano senza fiato.
E il pensiero della terra lontana d’Islanda affiorerà sempre nella memoria di chi l’ha vissuta, come un nostalgico desiderio di rivivere quei momenti passati, con la certezza, un giorno, di tornare laggiù, nell’isola oltre la nebbia, nella terra del ghiaccio e del fuoco.
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