Anche se la cavità-reliquiario realizzata proprio sotto il piano dell’altare di marmo non è rimasta sempre sigillata – sono attestare due ricognizioni, nel Seicento e alla fine dell’Ottocento – si era persa memoria della sua esistenza e del suo contenuto. Il tempio, chiuso dal 1982 per problemi strutturali, è stato finalmente oggetto di lavori negli ultimi anni. E qui, come racconta il testimone del ritrovamento Massimiliano Floridi, marito della principessa Gesine Pogson Doria Pamphilj, le reliquie sono state scoperte da un operaio che stava spostando la lastra dell’altare.
La cassetta reliquiario in piombo conteneva due olle di piccole dimensioni in ceramica depurata rivestita di vetrina piombifera, con relativi tappi ricavati da una placca di piombo con sopra incisi a graffiti i nomi dei santi, ripetuti, con grafia diversa, nelle placchette in lega di piombo poste all’interno nei due vasetti. Secondo l’archeologo Mengarelli si tratta di manufatti coevi all’epoca in cui la chiesa è stata consacrata. Le reliquie, in nuovi contenitori, sono state consegnate al Vicariato di Roma, che vi ha apposto nuovi sigilli.
La chiesa di Santa Maria in Cappella è legata a Urbano II, al secolo Eudes de Châtillon (Papa legittimo dal 1088 al 1099), citato nella lapide di fondazione, il quale viveva nell’Isola Tiberina. A ll’epoca a Roma abitava anche l’antipapa Clemente III (1080-1100), fatto eleggere dall’imperatore Enrico IV, che occupava il palazzo del Laterano. C’è l’ipotesi che la chiesa di Trastevere possa essere stata usata come cappella dal Pontefice legittimo quando si trovava in città.
Nulla ancora è possibile dire sulla provenienza delle reliquie né sulla loro autenticità. Mentre quelle venerate in San Pietro, nel luogo in cui è stata identificata con certezza la tomba del principe degli apostoli, sono compatibili con i resti di un uomo vissuto nel primo secolo dopo Cristo. In attesa di nuovi esami e magari di un confronto tra i le diverse reliquie dell’Urbe attribuite a Pietro, il giallo continua.
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