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La Maledizione della Bambola Okiku

Nelle ombre di un passato nebuloso, dove le leggende si intrecciano con la realtà, giace la storia di una bambola, non una qualunque, ma quella di Okiku, custode di un’anima perduta e di un mistero che sfida il tempo. Acquistata nel 1918 da Eikichi Suzuki, un giovane dal cuore tenero, per la sua adorata sorellina, la bambola divenne presto un oggetto di affetto incommensurabile per la piccola Okiku. Ma come in ogni racconto che si rispetti, la felicità fu effimera, e la morte, crudele e inaspettata, strappò la bambina dalle braccia della vita.

La famiglia Suzuki, nel tentativo di placare il dolore e onorare la memoria della loro Okiku, elevò la bambola a simbolo di un amore eterno, posizionandola su un altare e pregando per l’anima della figlia.

Ma il soprannaturale non tardò a manifestarsi; i capelli della bambola, neri come la notte più profonda, iniziarono a crescere, come se la vita stessa avesse trovato rifugio nelle sue fibre. Nel 1939, il tempio di Mannenji divenne il nuovo custode di questo enigma, e ancora oggi, i capelli di Okiku continuano a crescere, sfidando ogni spiegazione logica. Gli scienziati hanno esaminato i capelli, confermando la loro origine umana, ma nessuna teoria può giustificare la crescita incessante, né la trasformazione lenta e inquietante della sua fisionomia.

Le labbra della bambola, un tempo sigillate dal silenzio, ora sembrano socchiuse, come se volessero sussurrare segreti dall’aldilà o forse, in un sibilo appena percettibile, avvertire i visitatori del pericolo che si cela dietro quegli occhi vitrei. La bambola di Okiku rimane un mistero, un ponte tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti, un ricordo che continua a vivere, a crescere, a cambiare, proprio come la maledizione che porta il suo nome.

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