“Si va!” – con questa esclamazione carica di attese, pronunciata da Jurij Gagarin alle 9:07 del 12 aprile 1961, prende il via una nuova avventura per il genere umano, proiettata nell’esplorazione dello Spazio.
Jurij Gagarin, il primo uomo nello spazio, è stato l’eroe russo più popolare e amato al mondo. Nato in una famiglia povera, ha lavorato come operaio prima di realizzare il sogno di diventare pilota e cosmonauta. Il 12 aprile 1961 Gagarin è uno dei due passeggeri della prima navicella mai lanciata in orbita con degli esseri umani a bordo. La sua impresa, unita alla sua origine umile, ne fanno il perfetto eroe sovietico: l’incarnazione dell’uomo nuovo che Mosca intende promuovere. Portato a esempio dell’efficienza socialista, Krushev ne fa l’“ambasciatore” del successo sovietico nel mondo. Una gabbia dorata nella quale Gagarin non resiste a lungo. Tornato a guidare gli aerei da caccia, muore in volo a soli 34 anni, in un misterioso incidente.
Nel pieno della Guerra Fredda, in una corsa senza sosta per ottenere il primato nell’esplorazione delle stelle, la navicella Vostok1 – Oriente in russo – inizia il proprio viaggio da Bajkonur, in Kazakistan. A terra una bambina di 43 giorni attende il papà astronauta. Gagarin ha ventisette anni, è un giovane scelto fra una rosa di 3461 candidati, selezionati per la missione. È riuscito a mantenere il sangue freddo fino alla fine, superando un anno di addestramento fisico durissimo, basato su prove di resistenza alle vibrazioni e alle alte temperature, alla permanenza in camera di isolamento e risposta alle accelerazioni improvvise.
I rituali che accompagnano la partenza assomigliano a quelli raccontati attraverso nuovi strumenti sociali da un’altra protagonista delle esplorazioni nello spazio come Samantha Cristoforetti: gli esercizi fisici, la colazione con menù spaziale, i riti scaramantici. Per la prima volta vengono condivisi con il grande pubblico e resi noti dai mezzi di comunicazione. Da quel momento in poi infatti alcuni rituali sigleranno ogni partenza spaziale: tagliarsi i capelli due giorni prima del lancio, non assistere al trasporto e al posizionamento dei razzi e della navicella, bere un bicchiere di Champagne la mattina della partenza e firmare la porta della camera dell’hotel prima di uscire per raggiungere la rampa.
La navicella che accoglie Gagarin è una struttura del peso di poco oltre 4 tonnellate, alta circa 4 metri, composta da un modulo abitabile di forma sferica e da un modulo di servizio provvisto della strumentazione di bordo. Nella capsula abitata sono presenti tre oblò, un visore ottico, una telecamera, la strumentazione per rilevare pressione, temperatura e parametri orbitali, un portellone e un sedile lungo quanto l’abitacolo di una Fiat 500.
Gagarin compie un’orbita completa intorno al pianeta Terra: il suo viaggio dura ottantotto minuti a una velocità media di 27400 chilometri orari. Da lassù sorvola la Siberia, l’oceano Pacifico, l’Africa. Mentre ancora è in orbita, sulla Terra riecheggia il suo grido di entusiasmo
“La Terra è blu. Che meraviglia”
Una frase che andrà ad imprimersi nella memoria delle generazioni a venire. Alle 10.55 del 12 aprile 1961, dopo 108 minuti dal lancio, Gagarin tocca il suolo di una fattoria collettiva nella provincia di Saratov, nella Russia occidentale. Le prime persone che incontra una volta atterrato sono una contadina terrorizzata e la figlia, accompagnate da un vitellino. L’orbita ellittica attorno alla Terra compiuta a bordo del Vostok sarà l’unica missione nello spazio del cosmonauta sovietico, morto sette anni dopo la grande impresa, a soli 34 anni.
tratto / fonte: https://www.muse.it/ | https://www.rai.it/ufficiostampa
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